Chi pagherà i costi della pandemia?

Chi pagherà il costo della pandemia?

La pandemia di covid 19 ha  ha provocato morti e distrutto famiglie in tutto il mondo. Ha cambiato il nostro modo di vivere ed ha evidenziato le criticità della nostra società che l’abitudine ed il racconto ottimista del marketing tenevano nascosto.

Il cambiamento delle abitudini, in atto mantenuto dalle stringerti regole per limitare i contagi, lascerà delle tracce nella nostra memoria collettiva. Le più durature saranno quelle meno discusse.

I cambiamenti di cui parliamo però non sono gli unici: col covid la nostra società si è impoverito. Però non tutta: alcune fasce. Alcune categorie invece si sono arricchite, e di tanto.

Parlare di questo tema potrebbe sembrare inopportuno. In effetti i media ci parlano quasi esclusivamente della tragedia della malattia. Però le sofferenze economiche traspaiono chiaramente dalle proteste delle categorie danneggiate e, in modo più subdolo, danno forza a quella parte del racconto pubblico che nutre le teorie negazioniste.

I negazionisti vogliono credere che il covid sia una bolla mediatica, sia per paura dei suoi effetti concreti, sia per la voglia di continuare la propria vita come se la pandemia non esistesse. Dire che il covid è un’invenzione serve a tenere aperto il negozio o il ristorante, serve a continuare ad invitare i clienti a frequentarlo. Serve a chi ha voglia di continuare a frequentare la discoteca.

L’aspetto economico è importantissimo. E andrebbe affrontato e discusso e magari negoziato con tutte le categorie in modo diffuso, razionale ed inclusivo.

Ma parlando di economia ci si  scontra con una domanda pesante:  chi pagherà il covid?
La questione è edulcorata dal forte ricorso al debito pubblico e non potrebbe essere altrimenti considerate le tensioni sociali in atto.

In questo contesto sono da inquadrare, ognuna col proprio diverso peso politico, le richieste di Confindustria, ma anche le richieste dei dipendenti pubblici. Con pesi politici diversi, e conseguenti diverse risposte, sia dal governo sia dall’opinione pubblica.

Di fatto è una questione di cultura dominante: le imprese chiedono – ed ottengono – aiuti ad esempio per l’innovazione, mentre i dipendenti pubblici  chiedono nuove assunzioni (hanno un’età media più che attempata),  chiedono risorse per i propri contratti – (alcuni bloccati da anni), richiedono sicurezza sul lavoro  (anche dal Covid): per cercare di ottenere attenzione hanno dovuto indire una giornata di sciopero, che viene subito tacciata di irresponsabilità, dato il momento.

Ma chi sono i dipendenti pubblici? Tra questi ci sono gli uomini e le donne della sanità, quelli che rischiano la pelle nei reparti ospedalieri, che abbiamo definito eroi, che, esausti, abbiamo fatto aiutare da giovani precari e da vecchi colleghi andati in pensione; ci stanno gli impiegati degli uffici che reggono la macchina pubblica dello Stato, delle Regioni e dei comuni; ci stanno le forze dell’ordine ed i vigili del fuoco.

Detto per inciso, tra i dipendenti pubblici ci sono anche i genitori di tutti i precari “difesi” dai commentatori neoliberali. Perché le “riforme”, negli ultimi trent’anni, mentre hanno ridotto i salari reali del pubblico impiego, hanno precarizzato il lavoro dipendente e ridotto la qualità e la quantità dei servizi pubblici, spingendo i dipendenti pubblici a destinare i propri redditi poveri ma “sicuri”  a sostenere, il “welfare familiare”.

Tutti questi hanno una colpa nel “detto non detto” degli articoli di giornale: hanno un reddito fisso che hanno mantenuto durante la crisi pandemica e questo li rende più invisi, perché più raggiungibili di coloro che con questa crisi si sono ulteriormente arricchiti: quelli che hanno speculato sulle mascherine e sui guanti di lattice, quelli che hanno aumentato i fatturati dell’E-commerce; più invisi di Assodelivery che ha guadagnato sul lavoro dei riders. Più invisi di chi questa estate ha aperto le discoteche quando gli suggerivano di chiuderle e di chi vuole aprire gli impianti per gli sport invernali senza pensare più di tanto alle conseguenze.

Intanto il covid se Dio vuole, passerà. I contratti non rinnovati, gli statali in gran parte ultracinquantenni e le carenze nella  prevenzione sanitaria negli uffici e nelle scuole rimarranno, con la benedizione della Ministra Dadone e dei commentatori illuminati alcuni tra i quali – penso a Boeri – hanno redditi e prospettive che uno “statale” non riesce neanche a sognare.

Abbiamo proprio bisogno di voltare pagina, ma non per tornare a prima della pandemia: dobbiamo invece andare avanti e fare tesoro di questa terribile esperienza. Questa società, così ingiusta e diseguale, è incredibilmente fragile. Abbiamo bisogno di irrobustirla e la stradapassa attraverso la rimozione delle diseguaglianze eccessive e del darwinismo sociale. Se succederà o meno si vedrà anche da dove saranno recuperati i costi per la ripresa, oggi anticipati con l’incremento di debito.

C’è #coviddi

In una situazione di allarme il Governo deve prendersi le proprie responsabilità ed i cittadini anche. Nessuno può chiamarsi fuori. Anche perché c’è chi, come i #sovranisti e i #nomask, si nutre di stupidaggini, che qualcuno gli somministra seminando dubbi sulle limitazioni richieste ai cittadini e poi lamentandosi dei guai che conseguono. Ma il tema non sono questi antisociali.

Il tema che voglio richiamare sono le persone di senno che abbiano responsabilità pubbliche o no.

Il primo punto è la #mascherina: quella si indossa per #proteggere gli altri. Per lo stesso motivo non si bacia e non si abbraccia l’amico incontrato per strada. Il punto non è che l’altro ti può contagiare. È che tu puoi contagiare lui.

Per questo è così stupidamente crudele l’atteggiamento di chi rifiuta di portare la mascherina: quella persona non si interessa degli altri.

I ragazzi (oramai si definiscono tali anche dopo 30 anni – un regalo della vita da precari). I ragazzi sanno che loro sono meno vulnerabili. Ma hanno famiglie: madri, padri, nonni. Vulnerabili.
Vogliono farsi carico di queste famiglie? O continuiamo a come se il problema non ci fosse?

Infine il governo. Vogliamo dire un bello “stai zitto!” al presidente di #confindustria?
Costui continua a chiedere #contributi ed #agevolazioni e #detassazioni e poi parla di  “Sussidistan”.

C’è un mondo di gente che ha perso il lavoro, non le commesse aziendali.
Gente che se non lavora non mangia. In questa situazione i “sussidi” sono necessari tanto quanto la chiusura dei locali pubblici che pure serve. Con buona pace di chi ha detto per mesi che #uncinnecoviddi e ora sta zitto o peggio di quelli che continuano a pontificare. Senza vergogna.

Non è negazionismo è irresponsabilità.

Nella pubblica opinione italiana, specie negli ultimi anni, si tende ad enfatizzare i concetti, anche forzando le parole, anche a costo di essere imprecisi. Un esempio di questa pratica è l’uso della parola #negazionista per indicare qualcuno che sminuisce la criticità della #pandemia di #covid19.

Nell’uso consolidato il termine #negazionista indica un soggetto impegnato a negare la veridicità delle  ricostruzioni storiche  di genocidi avvenuti (https://bit.ly/34xFyh6), tale pratica è generalmente deplorata  e per questo il termine ha visto estendere la propria area di semantica nell’uso giornalistico comune.

Ma coloro che negano la pericolosità del covid sono un’altra cosa: la pandemia di covid è in atto, non è una ricostruzione storica. Coloro che promuovono e diffondono a fini politici la tesi di una minore pericolosità del corona virus, contro ogni evidenza e con gran danno sociale sono politicanti irresponsabili e i loro corifei. Il loro scopo è quello di delegittimare il governo in carica ad ogni costo ed anche contro ogni evidenza dei fatti. Anche a costo di provocare danno alle persone.

Purtroppo la loro opera è facilitata dal profondo ed ormai sedimentato stato di insoddisfazione diffusa. Insoddisfazione che porta tanti a diffidare delle istituzioni. In effetti l’aspra politica di austerità protrattasi ormai per più di trent’anni, ha prodotto una immagine dello Stato quasi esclusivamente negativa. Uno Stato che impone tributi e comportamenti e dà pochi ed inefficaci servizi e con una politica che in tanti paesi si legittima soprattutto diffondendo e approfittando della paura del diverso e del marginale.

La cura finale di questi fenomeni non può prescindere dal miglioramento delle condizioni generali di vita, ma ciò può avvenire in tempi brevissimi solo con un’enorme spesa sociale, come avvenne nell’America post crisi del 29. Non credo  che in Italia l’attuale personale politico sia attrezzato, anche per le scelte di governo già fatte negli ultimi mesi nel nostro Paese.

Resta da chiedersi se la diffusa sottovalutazione della pandemia  non possa essere ostacolata con una massiccia  pubblicazione, anche su Internet – e sui social in particolare (notoriamente campo di diffusione della tesi della non pericolosità del covid ) – di informazioni che uniscano completezza e precisione da una parte e forza divulgativa dall’altra, senza sfuggire alla opportunità di contraddire direttamente i diffusori di notizie.

Il diavolo non è brutto come si dipinge.

Che il male abbia degli aspetti attraenti è cosa nota tutti. Quali che siano le caratteristiche con cui questo male si presenta, quale che sia la categoria a cui questo male appartiene.
Il male è pericoloso, perché è attraente.

Il capitalismo, o modo di produzione capitalistico, o modo di vita occidentale, comunque lo si chiami, ha prodotto dei diffusi miglioramenti nella vita delle persone nate nella parte più comoda del mondo. Ha motivato le menti più vivaci a realizzare innovazioni tecniche capaci di rendere la vita più facile e più piacevole.

Ma, e ritorniamo nell’ambito delle frasi fatte, ogni medaglia ha il suo rovescio.

Per ogni persona che abita un appartemento più o meno spazioso in una città dell’Europa Occidentale o degli Stati Uniti c’è qualcuno che rovista tra i rifiuti di una città dell’Africa subsahariana o dell’India, o del Sud America.

Il capitalismo si è nutrito di una appropriazione diseguale dei beni della Terra che ha funzionato fino a quando la parte di umanità che se n’è avvantaggiata non è stata scoperta dall’altra parte.

Da quando i poveri del mondo hanno scoperto l’America del Nord o l’Europa sono venuti fuori fenomeni come le migrazioni.

L’occidente è sviluppato. nel suo percorso glorioso ha anche utilizzato beni che apparivano infiniti, l’aria, l’acqua dolce, l’acqua del mare.

Per tanti anni abbiamo pensato che la Terra fosse capace di assorbire senza difficoltà l’iperattività un po’ vandalica della parte ricca dell’umanità.

Oggi, nonostante ci siano tanti che continuano a negare, o a far finta di niente, questa certezza si è incrinata, fino a dimostrarsi falsa.

Oggi abbiamo visto e stiamo vedendo sciogliersi ghiacciai, sciogliersi le calotte polari, inaridirsi vasti territori, diventare più instabile il tempo atmosferico.

Negli ultimi mesi abbiamo visto diffondersi virus che partono da animali un tempo racchiusi in habitat naturali impenetrabili.

Quindi, se il capitalismo fosse il diavolo, possiamo dire che sarà anche avvenente. Però un po’ male fa, eh?

Oltretutto i vantaggi che la parte ricca del mondo si era assicurata negli ultimi quarant’anni sono stati ulteriormente ristretti a una parte sempre più piccola delle società occidentali. Si. Anche le società occidentali ricche diventano sempre più diseguali e quindi complessivamente più povere.
Si sta male anche in Europa occidentale e negli USA. Nonostante un sistema di informazione e di comunicazione che ha agito da anestetico

Infatti i media ha fatto sì che le persone abbiano guardato agli accaparratori di ricchezze come a modelli da seguire; come a sogni raggiungibili da proteggere.

Mentre è stato rivolto uno sguardo ostile, autoprotettivo, nei confronti di quella parte dell’umanità che ha organizzato in diversi modi, alcuni anche efferati, i primi tentativi di riscatto.

Perché se è vero che buona parte degli abitanti del centro America, del Sud dell’Asia, dell’Africa si dirigono verso le terre più ricche come gli Stati Uniti, l’Australia, l’Europa, è anche vero che il disagio di ampie parti della popolazione mondiale è stato vivacizzato, organizzato, orientato dall’islamismo radicale, coltivato da alcune dinastie arabe del Golfo alleate dell’Occidente (!)

Questa radicalizzazione orientata ha trovato terreno fertile nel disagio e nella sensazione (spesso reale) che tale disagio derivasse dallo sfruttamento occidentale nei confronti della parte sud del mondo.

Oggi ci ritroviamo di fronte alla possibilità di riesaminare la gestione del pianeta fatta fino ad oggi da parte delle classi dirigenti mondiali; siamo di fronte all’opportunità di chiederci se non sia proprio il caso di riappropriarsi degli spazi di decisione per perseguire veramente un modo di produrre e di consumare equilibrato nei confronti dell’ambiente e nei confronti dell’umanità, che, a ben vedere, è la stessa cosa.

Un modo di vivere che rispetti l’ambiente e insieme che rispetti quelle persone che fino a oggi sono state vessate, spogliate della propria parte di proprietà del pianeta.

Dividerci in piccole patrie serve solo a chi gestisce il potere. Non i politici. Ma i pupari che li manovrano col denaro.

Quello che serve è convincerci del nostro diritto dovere di partecipare alle decisioni comuni, non solo votando, ma informandoci e condizionando i nostri rappresentanti.
I rappresentanti di interessi particolari hanno nei lobbisti i loro portavoce. Noi?

Meril Streep in “Il diavolo veste Prada”

Un partito desiderabile.

Gia da un po’ è diventato usuale attaccare  l’avversario politico con l’accusa di essere incompetente. 

Questa  invettiva politica è stata spesso lanciata contro i 5 stelle soprattutto dai politici vicini a Matteo Renzi. Essa però presenta un vizio di fondo: ignora che chiunque si misuri col governo di dinamiche politicamente rilevanti, sconta livelli consistenti di incompetenza.
Nessun singolo ha conoscenze, competenze, esperienze tali da supportarlo adeguatamente nella gestione di problemi estremamente complessi, come quelli politici. Le scelte politiche hanno tante implicazioni e rischiano complicazioni  tali  da impedire spesso di prevederne in modo accettabilmente preciso i risultati immediati e quasi sempre i risultati derivati. 

Chiunque si occupi di politica deve contrastare la naturale tendenza ad applicare immediatamente alle situazioni che affronta automatismi che gli derivano dalle proprie esperienze personali. È invece necessario arricchire la propria analisi nel confronto con altre operate da altri soggetti. Più il confronto è ampio e aperto nelle conclusioni, più è efficace.

In effetti in  ogni decisione politica ci si trova sempre a confrontarsi con altri, che siano i rappresentanti di portatori di interessi particolari, o che siano i vertici burocratici delle pubbliche amministrazioni.

Il decisore politico di trova al centro di flussi di informazioni, che è tenuto a valutare a paragonare e che alla fine costituiranno i cardini delle sue decisioni.

Tali considerazioni suggeriscono il motivo per cui negli ultimi anni è stato tanto difficile che al cambiare delle maggioranze politiche si verificassero svolte importanti nelle decisioni di fondo, nelle decisioni di sistema.

Per riuscire ad esprimere una progettualità politica effettivamente innovativa il decisore dovrebbe essere in possesso di un livello di competenza tanto approfondito da non poter essere espresso da un singolo o da un team tecnico.

È questa la funzione insostituibile dei partiti politici in quanto intellettuali collettivi, comunità capaci di esprimere una analisi insieme composita, articolata approfondita e concreta. Un’analisi che sia politica non solo per il suo oggetto, ma anche per la  sua genesi.

Se la riflessione condotta fin qui è corretta, essa spiega il livello di decadenza della politica attuale, in cui i partiti di massa, che hanno costituito la  Repubblica, si sono prima avvizziti e poi sono venuti meno, sostituiti da organismi che si sono acconciati a sostituirli nella gestione delle istituzioni repubblicane, pur mancando dell’essenza dei partiti stessi: la partecipazione effettiva ed efficace di ampie porzioni di popolo alla formazione delle loro analisi e delle decisioni  conseguenti.

Abbiamo assistito ad una fase di deformazione progressiva  della natura dei partiti, in cui i gruppi dirigenti si sono sempre più allontanati dalle proprie basi, asserragliandosi nelle segreterie politiche, fino ad arrivare  all’implosione certificata dai fatti dei primissimi anni 90.
Successivamente abbiamo visto (e vediamo anche oggi)  costruire organizzazioni centrate su leadership personali secondo l’archetipo di Forza Italia, che si relazionano con il proprio elettorato con strumenti tipici del marketing, come  sondaggi ed altre  indagini demoscopiche e una comunicazione propagandistica sempre più vicina negli strumenti alla pubblicità.

I meccanismi di produzione delle decisioni sono invece in mano ai pochi che gestiscono i nuovi “partiti”, in buona parte sganciati dalla volontà e dal vissuto della base e condizionati dai suggerimenti degli esperti di sondaggi, dai rappresentanti delle lobby, dagli alti burocrati.

Una interessante variazione sul tema è la nascita con l’iniziale successo del MoVimento 5 stelle. Il nuovo partito ha colto la voglia di partecipazione diffusa ed ha provato a simulare la partecipazione, impiegando innovative tecniche di marketing attraverso i social media. L’emulazione non ha retto la prova dell’impegno istituzionale, ma allora è stata sostituita dalle note dinamiche di adesione  ai gestori di ruoli di potere e fino adesso regge, facendosi indicare le scelte politiche da un continuo monitoraggio demoscopico, i cui risultati vengono assecondati allo scopo di conservare il consenso. La mancanza di una visione prospettica condivisa, insieme all’eterogeneità dei codecisori e dei loro ispiratori, però, impedisce la definizione di un percorso politico coerente.

Le altre soggettività politiche presentano minori spunti di innovazione. Si accordano con scarsi livelli di originalità a correnti di pensiero sperimentate, proclamandosi interpreti genuini e più efficaci. 
Tutto questo lascia un vuoto nel panorama politico italiano. Un vuoto profondo. 

Serve un soggetto che consenta la partecipazione effettiva dei cittadini ai processi decisionali che originano le scelte pubbliche. Un soggetto politico capace di indicare ai tecnici gli obiettivi di interesse generale invece di farseli suggerire. Serve un intellettuale collettivo. E serve che questo intellettuale si nutra del bisogno di benessere diffuso che la società civile esprime da tempo, che a questo bisogno riesca, collettivamente, a dare un percorso di soddisfacimento in un rapporto di vera simbiosi con la società civile. 

Un soggetto fatto così riuscirà a frenare gli appetiti di chi fino adesso ha saccheggiato il nostro Paese dall’ambiente ai monumenti e ha impoverito le ultime generazioni. 
Perché il futuro non solo sia degno di essere vissuto. 
Per un futuro desiderabile. 

Keines 2020. Qui ed ora.

Avete letto che a Palermo qualcuno ha lanciato l’idea di assaltare i supermercati?

Chiunque abbia letto due righe di economia sa che in una una società in cui la ricchezza è equamente distribuita si vive meglio rispetto ad una società che presenta forti diseguaglianze.

Sono quaranta anni che la cultura di destra imperversa, tanto da convertire a sé gran parte della sinistra riformista.

Oggi le destre – quella liberista e quella nazionalista – sono egemoniche e si disputano i corpi, i pochi beni e le anime di milioni di lavoratori in gran parte precari che non possono programmare un futuro e si ubriacano (anche) di di serie web. La pubblicità diffonde il consumismo come ideologia; il nazionalismo (oggi si chiama sovranismo) ha contaminato anche parte della sinistra.

Tutto questo è arrivato al capolinea. Ce l’ha portato il #coronavirus.

Già adesso le cose non sono più le stesse e la crisi economica ha dato solo le prime avvisaglie. Migliaia di precari e migliaia di persone che vivevano di microcommercio in nero oggi non hanno una fonte di reddito.

E le famiglie sono impoverite da anni di sacrifici imposti dal neoliberismo europeo e dai suoi alleati italiani. Poche famiglie oggi possono farsi carico del ruolo di ammortizzatore sociale.

Parlavo di capolinea. Adesso il sistema cambia rotta drasticamente e durevolmente (Draghi ad esempio da quello che dice sembra avere capito) o collassa tutto l’impianto sociale. Si sono già verificati assalti ai supermercati. Ci sono gli agitatori, certo, ma il contesto gli è favorevole.

Bisogna partire subito con iniziative atte a raffreddare la situazione. Non basta fermare i pagamenti di imposte e mutui. Bisogna pensare ad un modo in cui lo Stato dia lavoro. (alla Keines) o allargare il reddito di cittadinanza.
I fondi?
La BCE batta moneta e finanzi i debiti degli stati. Prima che l’UE crolli su se stessa sotto i colpi di socialismi nazionali.
Non c’è molto tempo.

Altro che condizionalità!

Non donna di provincie ma bordello.

Le situazioni di crisi, specie se parossistiche, si comportano come i cambi di illuminazione in un ambiente: mettono in luce aspetti che, pur in primo piano, non erano stati evidenziati dalle precedenti condizioni di osservazione.

La crisi indotta dal covid-19 ha agito cosi col contesto sociale e politico europeo ed italiano.

Ormai da decenni le classi dirigenti italiane, hanno stoppato la tendenza a finanziare con l’emissione di nuova moneta il debito pubblico, rivolgendo la richiesta di finanziamento dei bilanci al mercato finanziario privato, ottenendo così un forte freno all’inflazione e, al contempo l’esplosione della spesa per il finanziamento del debito e la sua crescita.

Davanti al debito “mostre” così generato e facendosi scudo delle richieste degli altri paesi dell’Unione Europea, hanno indotto il sistema politico italiano a ridurre le prestazioni di servizi sociali ai cittadini.
Da decenni si spinge verso le famose “riforme strutturali” lasciando intendere che primi tra tutti avrebbero dovuto eliminarsi i grandi mali del sistema italiano: l’inefficienza della macchina pubblica, l’evasione fiscale e la corruzione diffusa.

Bene. Abbiamo scoperto che le inefficienza, la corruzione, l’evasione fiscale, sono più difficili da eliminare di quello che si pensava.
Invece erano molto più semplici da aggredire, limare, tagliare i servizi pubblici.

E li si è “riformato” di brutto: meno insegnanti e meno aule, meno medici e meno posti letto negli ospedali, pensioni assittigliate sempre di più. Blocco del turnover negli uffici pubblici.

Nel frattempo – però – si è creato un abbondante precariato pubblico non selezionato, si sono create società satelliti partecipate, formalmente private cui esternalizzare funzioni pubbliche e dotate di personale di nuova assunzione. Assunto senza le procedure concorsuali necessarie per il pubblico.

Pubbliche amministrazioni siffatte avrebbero faticato a reggere le procedure previste dalla burocrazia europea per l’uso dei fondi strutturali, ma i problemi di adeguatezza si sono avvertiti solo in parte, perché la politica solo in pochi casi è stata capace di attivare le Amministrazioni con la formulazione – ed il mantenimento – di piani ed obiettivi di investimento coi fondi UE.

A questa situazione siamo arrivati in un tempo adeguatamente lungo per adattarci pian piano, seguendo pedissequamente il noto processo della rana lessa. D’altro canto la visione del mondo sottesa alla ideologia dei mercati ha da tempo ucciso tutte le altre ideologie e si è autoproclamata verità assoluta. Una situazione simile al Cattolicesimo nell’Europa prima della Riforma protestante. Le dispute erano tutte interne alla vera religione e chi immaginasse altre visioni era un eretico da bruciare in piazza.

In questo contesto piomba il coronavirus.

Le piccole aziende non lavorano più. Chiusi ristoranti, bar e tante attività manifatturiere. Tante partite Iva inattive in casa per fermare il contagio.

I tanti italiani che vivevano al limite, sono travolti. La sanità si è trovata inadeguata, senza apposti letto, senza medici ed infermieri; la scuola, carente di carta igienica si trova a doversi dotare di attrezzature per la formazione a distanza (senza tenere conto che tantissime famiglie non hanno in casa le gli strumenti per fruirne).

Sarà necessario tutto il potere di spinta di entità statali potenti e volenterose, concrete e visionarie. E ci sarà bisogno di una classe dirigente europea consapevole e solidale, capace di lasciarsi alle spalle le spinte egoistiche e ideologiche che le hanno fatto già fatto demolire la Grecia, capace di capire che l’approccio responsabile è quello equilibrato, che non bruci miliardi in pratiche demagogiche, ma che non si sottragga alla sfida di questa crisi, che sta mostrando in tutta la loro inadeguatezza equilibri e certezze costituiti negli ultimi 40 anni.

In alternativa (perché c’è sempre un’alternativa) l’Europa diventerà come l’Italia descritta da Dante nei versi “petrosi” del sesto canto del Purgatorio.
Ricordate?
hai serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!

D’altro canto, che davanti ad un’Europa pura “espressione geografica” ci sarebbe la fila di potenze interessate, ci è già dimostrato dalla gara che Cina Russia e USA stanno facendo per mandare aiuti oggi all’italia e domani a tutti i singoli stati europei che abbiano bisogno.

L’Italia dopo la “pace di Lodi”

dalla Sinistra verso…

Sono convinto che sia necessario un salto, uno scarto, una soluzione di continuità nel modo di proporsi della sinistra non PD.

il sol dell'avvenire2Ho letto un articolo de il Sole 24 ore in cui si descriveva la distribuzione del vantaggio elettorale della Lega sugli altri partiti: la Lega va meglio in provincia e in periferia ed è votata sia da chi vuol cambiare perché si trova in una situazione si disagio, sia da chi teme di peggiorare la propria situazione di agiatezza.

Le due categorie, così differenti, in pratica complementari, mi hanno indotto a chiedermi cosa abbia potuto indurre persone portatrici di motivazioni cosi diverse a fare la stessa scelta. Mi è parso di individuare il tratto comune nella sensazione di affidabilità che Salvini è riuscito a suscitare nel suo elettorato. (solo la sensazione, ma è bastata).

Quella parte dell’elettorato che condivide i valori della Sinistra, non riconosce analoga affidabilità ai partiti della Sinistra ed ai suoi leader, né per lealtà e attenzione verso i compagni di percorso, né per efficacia nel gestire il ruolo di guida.

D’altro canto alcuni tra loro si fanno vanto di una imprevedibilità tattica, che fuori dall’ambiente politico viene considerata un grosso difetto: l’ inaffidabilità.

Si dirà che Salvini non è certo un campione di affidabilità, lui è riuscito ad apparire simile al suo elettorato, “uno di loro”.
E questo in democrazia porta consenso.

I leader che hanno guidato i partiti della Sinistra hanno avuto diverse occasioni per dar prova di sé. Occupano posti di responsabilità da molti anni e da più tornate elettorali.

Dopo quest’ultimo insuccesso mi chiedo se abbiano pensato seriamente di passare la mano.

Temo che non abbiano intenzione di farlo

Il fatto è che non credo si possa affidare a loro la conduzione di una stagione nuova.

D’altro canto dai tam tam che sento susseguirsi in ordine alla responsabilità per la costruzione di “un fronte contro la destra” si comincia a sentire una forte voglia di ammucchiata.
In questo sono facilitati anche da tanti che in buona fede chiedono l’unità.

In effetti l’unità è “conditio sine qua” non per perseguire efficacemente un obiettivo.
Quindi: unità per fare cosa?
Per gestire “alla meno peggio ” la situazione esistente, coi Calenda e i Renzi? Io direi anche no. I Calenda e i Renzi sono stati propedeutici per la vittoria delle destre e non otterremmo altro che di fare opposizione con qualche punto percentuale in più.

Per tornare a competere e magari vincere ci vuole un progetto, conosciuto e condiviso.
Il “green new deal” non sarebbe male, ma chi lo conosce? E chi lo ha vagliato ed accettato tra coloro cui chiederemmo di votarlo?

Abbiamo un sacco di lavoro da fare prima di diventare una forza politica capace di esprimere una proposta di governo., inscritta in una visione del mondo un minimo coerente.  Prima cominciamo meglio è.

Queste considerazioni non implicano necessariamente che col Partito democratico non si possano fare percorsi comuni, ma per farli il PD dovrebbe mettere in campo una svolta effettiva e consistente delle proprie politiche economiche nella direzione di una attenzione ai bisogni delle persone (sanità e ambiente, scuola e lavoro) che lo porterebbero lontanissimo dalle politiche renziane. Non sembra avviato in quella direzione.
Il cambiamento della segreteria appare più che altro come un cambio di facciata.
No?
E allora facciano delle proposte accettabili su sanità, scuola, lavoro e ambiente.
Non bastano a salvarsi l’anima i diritti LGBT e lo ius soli. Sui migranti la gestione Minniti delle migrazioni e la cattiva gestione dell’accoglienza di questi anni è una concausa del successo di Salvini; riconoscerlo e

 

analizzare la questione migrazioni con umanità e senso di responsabilità insieme, potrebbe contribuire ad un credibile inizio di dialogo.

In assenza di questi punti di convergenza qualsiasi tipo di alleanza sarebbe un “cercare riparo” non particolarmente onorevole.

2030: Emma Bonino e Publio Terenzio.

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Negli anni Settanta i radicali hanno fatto molto per i diritti individuali in italia. Le battaglie contro l’abrogazione della legge sul Divorzio e contro l’abrogazione della legge sull’aborto sono state epiche. Ancora oggi portano avanti battaglie importantissime per regolare le situazioni limite a fine vita.

Queste battaglie di progresso li hanno fatti guardare con simpatia da un pezzo di Sinistra attenta ai diritti civili ed hanno fato dimenticare che i radicali sono liberisti.

E nel loro liberismo, sono centrali tutte le battaglie per uno Stato ridotto all’osso e contro i partiti politici. Ricordate le battaglie di Pannella contro la partitocrazia?

Non è che io voglia difendere uno stato elefantiaco che si infiltra ovunque e limita le libertà e le iniziative individuali quel ruolo in Italia lo ha svolto il Fascismo.

Solo non vorrei buttare a mare quanto di buono le lotte del dopoguerra hanno portato alla mia generazione e il riflusso sin dagli anni Ottanta sta togliendo ad una ad una ai nostri figli.

Il welfare state, lo stato del benessere con la scuola pubblica, la sanità pubblica, le pensioni e la sicurezza sociale non sono da buttare via. Da buttare via ci sono le inefficienze. Proprio quelle che hanno mostrato e mostrano più resistenza alle #riforme. Ridurre il numero dei letti in un ospedale è più facile che ridurre gli acquisti di apparecchi elettromedicali inutili e ridurre il numero di insegnanti per alunno, creando classi enormi e ingovernabili, è più facile che ridurre gli i trattamenti economici stipendi di alcune categorie

Tra le cose che l’Italia aveva di buono c’era la scuola pubblica. L’hanno dissanguata. Hanno un bel dire gli economisti che la formazione delle persone è vitale per la crescita di un Paese. Da noi sulla scuola si risparmia.

La cosa tragica (e qui torniamo ai radicali) è che la demolizione della scuola non si persegue solo per riduzione progressiva dei fondi, la stanno progettando anche come riduzione degli obiettivi che le sono attribuiti: basta con la scuola strumento di mobilità sociale. Basta coi figli di contadini e di operai che possono diventare medici e direttori di banca. la scuola secondo la Bonino (e si trova in numerosa compagnia) soprattutto deve formare i ragazzi al lavoro.

Non fatevi buggerare la scuola deve formare persone equilibrate: di quale lavoro parlano? operatori di call center? montatori di computer, venditori di telefonini? In una società che cambia alla velocità della luce, coi suoi sistemi di produzione e di consumo?
Un ragioniere, che ricordasse perfettamente quanto ha imparato vent’anni fa in un buon istituto tecnico, oggi non saprebbe da dove iniziare. Allora è possibile che la scuola oggi debba insegnare ad  imparare?

d’altro canto anche chi va all’Università senza una buona scuola alle spalle è sostanzialmente un ignorante.
Vi sarà capitato di chiedervi a che serve conoscere le tragedie greche, i classici latini,  la letteratura italiana, la storia, la filosofia.

Non voglio usare argomenti noiosi, ma un brano degli “Articolo 31”

“Tanta nostalgia degli anni ’90,
quando il mondo era l’arca e noi eravamo Noè,
era difficile, ma possibile,
non si sapeva dove e come,
ma si sapeva ancora perché”

è l’ultimo pezzo la chiave: la Bonino vuole che la scuola insegni il dove e soprattutto il come. Quello che serve ai giovani italiani, bombardati dalle web series e dalle pubblicità è ragionare sul perché.

Questo forse potrebbe renderli consumatori meno voraci e non lavoratori immediatamente pronti all’uso, ma magari potrebbe dare loro armi più efficaci per cercare la felicità.

Avete notato quanta disperata violenza si è diffusa nel nostro mondo? Quanti omicidi – suicidi, quanto uso di droghe quanto sesso di rapina?

terenzio

Ritratto di Publio Terenzio Afro (Cartagine, 190-185 a.C. circa – Stinfalo, 159 a.C. ), Commediografo. Incisione di  Desvochers, 1740.

C’è bisogno di più Rodari e meno videogames, di più Leopardi e meno Lost. Di più Sofocle ed Eschilo, Euripide e Terenzio, per ricordarci che il dolore (e prima o poi lo abbiamo incontrato tutti) non è un peso che grava solo sull’individuo, ma qualcosa che ci accomuna, tutti e che fa parte della nostra umanità. Da sempre.